Di seguito la traduzione della Lectio Magistralis tenuta da Rita Segato a Perugia in occasione del Convegno “Violenza di genere e Centri Antiviolenza in Umbria, pratiche politiche ed istituzioni delle donne”.
“La prima cosa che devo dirvi è che il femminismo europeo è istituzionale, pensa a partire dallo Stato e per questo ha difficoltà rispetto alla pluralità del femminile. In america latina io lavoro in un quadro di femminismo decoloniale, decolonizzare significa riavvolgere la storia e non è possibile, ma il pensiero decoloniale ci parla del futuro, un modo per aprire falla in direzione di una storia diversa.
Il pensiero plurale deve comprendere, ad esempio, che l’istituzionale matrimoniale in un contesto comunitario è diversa rispetto al contesto moderno della famiglia nucleare, una differenza fondamentale per intendere la posizione della donna nei diversi contesti e che lo Stato è solo l’ultimo momento della storia del patriarcato. In altri termini occorre una critica allo Stato come uno spazio di un soggetto universale, che cattura ogni enunciato politico e da a questo enunciato una forma che viene dalla storia del patriarcato, per noi donne questo è un problema molto grande negli spazi pubblici. Occorre sottolineare nell’occhio pubblico, come le strutture che erano gerarchiche, nel mondo pre-moderno diventano molto più gerarchiche nella modernità. Se la comunità era esplicitamente gerarchica, c’era e c’è un politica degli uomini e una gestione delle donne dall’altra lato -nel contesto comunitario- al contrario nel passaggio alla modernità, si perde la gestione femminile, soprattutto si perde nell’ordine del discorso la retorica di questa gestione femminile.
Vediamo questo nella difficoltà quando avanziamo le nostre richieste verso lo Stato, abbiamo una difficoltà rispetto all’occhio pubblico nella strada e rispetto al linguaggio giuridico. Nonostante sono state create nel mondo una grande quantità di leggi, e politiche pubbliche e istituzionali ci sta costando molto incidere veramente sulla subordinazione femminile. In argentina c’è stato un aumento di femminicidi come mai prima, il governo conservatore cerca di approfittarne per fare legge più punitive, sono stata chiamata nel Senato proprio per parlare del tema. Li mi sono trovata in una posizione difficile. Per molto tempo abbiamo pensato che avere una punizione in carcere fosse utile, però chi conoscesse il carcere lo sa gia il carcere è una scuola di violenza. E rendersi conto che lo Stato è una istituzione punitiva, il limite è proprio questo.
La maggior parte delle violenze contro le donne non può essere trasformata in reato, i reati sono una punta dell’iceberg di tutta la violenza contro le donne. La base, il brodo di coltura è nelle pratiche quotidiane, dallo spazio domestico alla strada le donne fanno una esperienza che non è stessa per gli uomini. Già questo è violenza, e l’occhio pubblico sul corpo della donna comporto sempre un sospetto morale. Le leggi sono fatte per i reati ma non possono cambiare la società. C’è un errore nel pensiero della modernità ovvero che la legge può causare la realtà.
Allora come rendere recepibile la protesta delle donne?
All’inizio di questo anno ho lavorato con una associazione basca e donne di 5 diversi paesi su diversi casi, un caso che mi ha molto impressionato a Madrid è di una donna che è stata per 5 anni tutti i venerdi, in Questura a denunciare la violenza del marito contro lei e la figlia e la paura che questi le uccidesse.
Il funzionario che prendeva la denuncia annotava parola per parola, ma non capiva ciò che la donna diceva, Il modo con cui parlava,le sue parole, che venivano riportare, non erano credibili. dopo il 5 anno il marito uccise la figlia
Noi femministe, noi donne educate ad un “buon” linguaggio, spesso ci dimentichiamo come parlano le donne non educate a questo tipo di linguaggio, è una differenza è molto importante nella mia analisi. il linguaggio femminile ha radici profonde, è informale, pieno di forme popolari, la donna parla in prossimità, in intimità questo modo di parlare lo stato non lo ascolta, anche perchè lo stato ha un DNA patriarcale, è formato da istituzioni maschili da un tempo senza limite. Quindi mi limito a indicare due aspetti da discutere: Primo come usa, che cosa è la legge per una donna?
Per molti anni ho lavorato in Brasile cercando di portare la conoscenza del diritto delle donne, in luoghi molto remoti. Questo mi ha portato a formulare questa domanda: che ci fanno le donne con la legge, le donne di contesti rurali che vivono anche molto lontane dai tribunali.
Se ciascuna persona non incorpora la legge, se non è il soggetto stesso che dice: tu mi stai esercitando violenza, quindi esercita un giudizio sul colui che esercita violenza, la legge lo trasforma. L’efficacia retorica, discorsiva, simbolica e performativo della legge, viene prima dell’efficacia materiale. Pertanto la legge è importante perchè il suo discorso è sacralizzado, in quanto alta istituzione della nazione. Ma nel caso delle donne deve essere incorporato in quanto proprio discorso, altrimenti non ha nessuna efficacia materiale. Questo significa che il lavoro pertanto è sulle società.
Il tema della legge incorporata da un punto di vista femminile, possiamo importarlo anche da un punto di vista del pluralismo politico.
Il pensare inclusivo della domanda femminile, a partire da questo porterebbe ad un altro tipo di tribunale ispirato al tribunale comunitario, già conosciuto e studiato. Per esempio la necessità di esprimersi nei termini tecnici burocratici di legge non deve essere obbligatorio. La idea di giustizia è indissociabile dalla idea di cura, credo che possiamo a prendere molto dagli studi di giustizia comunitaria, per cercare di risolvere le questioni relative alla violenza.
2) altro tema che vado solo ad enunciare, perchè sarebbe molto lungo da trattare, è che dobbiamo stare attente a dire che le donne hanno preso potere e per questo gli uomini sono diventati più violenti, questo può avere a che fare con la relazioni domestiche- nei reati di intimità che sono la maggioranza- ma stanno crescendo altre forme di aggressione negli Stati. Per una esempio il traffico di donne per prostituzione, che è una forma di genocidio, attraverso la riduzione in schiavitù e forme concentrazionarie di esistenza dei corpi che sono crimini pubblici. Il numeri riguardo alle morti da tratta non sono trattati, ma sono crimini pubblici. E’ un errore limitarsi ai reati dello spazio domestico, questo è un errore legato al fatto che noi donne che siamo “incluse nella società” sono generalmente questi i reati che vediamo. Ma anche in Europa come in America Latina sono molti i reati che si danno nello spazio pubblico.
Però l’incremento della violenza è legato alla precarizzazione degli uomini, causata dalla concentrazione della ricchezza in poche mani, e la diminuzione della potenza degli uomini. Siamo in un mondo in cui parlare di disuguaglianza è dire poco, l’attuale struttura di potere è una struttura di signoria.
Nel 2010 288 persone avevano a disposizione metà della ricchezza della metà del mondo e questo anno sono diventate 8. Questo significa che il ritmo della violenza dell’accumulazione della ricchezza da parte di pochi si è accelerato e precarizza la vita. Il soggetto più sensibile alla precarizzazione della potenza è il soggetto maschile. Il soggetto maschile è più sensibile alla diminuire del valore della propria potenza, economica politica, morale, questo lo porta ad essere più aggressivo e violento. Le donne che nella loro di vita hanno scelto della carriere pubbliche, conoscono l’invidia mascolina e l’aggressione che questo comporta. Ma quello che oggi ha più valore nella violenza di oggi è la precarietà.
Quello che è importante riportare è che molti uomini, si tirano fuori dal mandato di mascolinità, dal bisogno di potere, dall’esigenza di potere nella guerra, nella sessualità e in qualsiasi campo politico, morale, intellettuale. Mentre alcuni uomini evitano di rincorrere questo modello maschile, altri cercano di rincorrerlo e non potendo raggiungerlo, diventano più aggressivi.
La pedagogia della liberazione femminile può essere pedagogica a tutte le forme di liberazione. Una pedagogia di rottura. Se ce la facciamo la piramide cade e cade tutta la gerarchia, perchè la sottomissione delle donne è la prima pedagogie di tutte le forme di assoggettamento. Per sostenere questa struttura di potere quello che viene messo sotto assoggettato è il corpo femminile e il corpo femminilizzato.
Il mito adamico, il castigo dell’umanità incentrato sulla sottomissione delle donne è la stessa narrazione mitica che unisce i diversi gruppi umani di diversi continenti. E’ stata una costruzione politica, non biologica, ma questo mito politico rappresenta la prima forma di potere e di assoggettamento del corpo femminile, a cui seguono gli altri corpi femminilizzati.
Oggi attraverso la confluenza tra potere politico, economico e sociale, possiamo avere un’ idea della fine della finzione istituzionale (statale)”.
Traduzione a cura di Roberta Pompili