Il Comune di Terni assegna l’affidamento del sistema di contrasto alla violenza di genere all’Associazione San Martino
In data 30 dicembre 2021 il Comune di Terni ha assegnato all’Associazione San Martino, “Impresa Sociale e strumento operativo dell’organismo pastorale della CARITAS DIOCESANA di Terni – Narni – Amelia”, come si evince dal sito dell’associazione stessa, il sistema integrato dei servizi di contrasto alla violenza di genere.
Libera…Mente donna ha gestito il centro antiviolenza residenziale “Libere tutte” di Terni, la casa rifugio e di semiautonoma di Terni, dall’apertura, nell’aprile del 2014 fino ad oggi, accogliendo un totale di 1386 donne e ospitando 103 donne e 103 minori.
L’associazione apprende nei primi giorni di dicembre della gara d’appalto e, dopo una lunga e sofferta riflessione, decide di non parteciparvi, per diversi, inaccettabili elementi: i fondi esigui e inadeguati, l’inesistente riconoscimento della metodologia fondata sulla relazione tra donne secondo il modello dell’accoglienza dei centri antiviolenza, l’assenza di riferimenti alle associazioni femminili e femministe, come previsto dalla Convenzione di Istanbul, trattato internazionale contro la violenza sulle donne e la violenza domestica; e ancora, spese, immobili e attività a completo carico dell’assegnatario. La gara ha visto uno svolgimento lampo, conclusasi il 21 dicembre ha indicato la data del 31 dello stesso mese per l’uscita dell’Associazione Libera…Mente Donna e l’ingresso del nuovo ente gestore provocando un’improvvisa frattura nello svolgimento del lavoro svolto negli ultimi sette anni e mezzo dal Centro Antiviolenza. In questo ambito non si può prescindere dalla fondamentale e profonda relazione che si costruisce con le donne che decidono di seguire un percorso di uscita dalla violenza, è dunque impensabile che si possa subentrare nei progetti delle donne senza il loro consenso e senza un’adeguata formazione.
Con questa azione viene snaturato l’operato fondato sull’esperienza delle reti locali femminili e femministe, svuotando i criteri e le procedure consolidate nella rete antiviolenza del territorio strutturata da anni di esperienza, formazione e lavoro attivo.
L’impegno con la rete dei servizi territoriali vira verso l’assenza del modello di accoglienza, di principi laici, della relazione propositiva tra operatrici e donne. Abbandona la strada che fino ad ora ha favorito con percorsi di fuoriuscita dalla violenza basata su empowerment, non giudizio, consapevolezza e autonomia.
Dal punto di vista legislativo, oltre alla cornice della Convenzione di Istanbul, vengono meno le buone pratiche espresse nella L. 14/2016 della Regione Umbria, nell’intesa Stato-Regione riguardante le prerogative minime dei Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio.
In particolare la Convenzione di Istanbul nell’ articolo 1 lettera e richiama a: “Sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l’eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica” e l’articolo 9 ricorda che: “Le Parti riconoscono, incoraggiano e sostengono a tutti i livelli il lavoro delle ONG pertinenti e delle associazioni della società civile attive nella lotta alla violenza contro le donne e instaurano un’efficace cooperazione con tali organizzazioni”.
La L. 14/2016, Regione Umbria, all’art. 35 lettera b, esprime chiaramente come le associazioni e le organizzazioni “utilizzino una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato”, come indicato anche al comma 3. Lo stesso Piano Strategico Nazionale 2021/2023 sulla violenza maschile sulle donne cita tra i principi ispiratori: “Inclusione, nell’ottica di considerazione delle vulnerabilità e delle discriminazioni delle vittime; intersezionalità, in quanto la parità di genere va considerata in rapporto a tutte le possibili discriminazioni”; ancora all’art. 2.1, rispetto al contesto normativo, si sottolinea “esperienza pregressa realizzata prioritariamente dalle Regioni, dagli Enti Locali e dal partenariato socio economico con particolare riferimento all’associazionismo femminile e, dall’altra, dall’intervento governativo, che agisce anche su stimolo delle indicazioni provenienti dal livello europeo e internazionale”.
Da tenere in specifica considerazione, inoltre, l’art. 2.5 contenente punti di attenzione impossibili da trascurare tra cui: “Gli obiettivi generali e specifici; le risorse finanziarie a disposizione; la descrizione dei contenuti e delle modalità di attuazione dell’intervento; i risultati attesi; la tempistica di attuazione; i soggetti responsabili dell’attuazione; le procedure per identificare/selezionare i beneficiari dei finanziamenti/soggetti attuatori”.
La preoccupazione dell’Associazione Libera…Mente Donna è che l’associazione assegnataria, San Martino, possa gestire il centro antiviolenza di Terni secondo i principi cristiani di assistenzialismo fondato sul modello della Caritas Nazionale che esula dal principio di autodeterminazione fortemente chiaro alle realtà femminili e femministe e mettendo al centro la sacralità della famiglia tradizionalmente intesa, a prescindere dalle gravi condizioni di violenza che le donne che si rivolgono a un CAV si trovano a vivere.
L’associazione resta nel territorio, presente ed attiva, in collaborazione con la rete delle realtà locali per dar vita a nuovi spazi inclusivi. Spazi atti a promuovere saperi, cultura, formazione e per costruire un futuro di libertà e autodeterminazione per le donne. Futuro che oggi più che mai sembra lontano.
Se oggi, 1 gennaio 2022, ciò che accade a Terni è più che un passo indietro, noi ne faremo due, dieci, cento avanti e sempre.
Se toccano una toccano tutt