In Russia, il paese con uno dei più alti tassi di donne uccise da un proprio famigliare (oltre 12.000 nel 2016) è stata approvata dalla Duma con 380 voti favorevoli e 3 contrari, la legge che depenalizza le violenze domestiche, ribattezzata la “legge del ceffone” che, teoricamente, dovrebbe consentire ai genitori di educare i figli senza la minaccia di conseguenze penali. Se prima si rischiava una pena di due anni di reclusione, secondo questa legge l’aver picchiato i figli o il coniuge, se è la prima volta, si tradurrà in una multa di circa 500 euro mentre, in caso di reiterazione del reato, si verrà giudicati secondo il codice penale.
In Russia secondo i dati del Servizio di Statistica, il 40 per cento delle donne è vittima di molestie verbali e una su cinque è maltrattata pesantemente dal marito. Si attendeva da tempo un disegno di legge contro la violenza domestica. La deputata Saliya Murzabayeva del Comitato della Duma di Stato per la tutela della salute, aveva anche presentato un disegno di legge atteso da 20 anni, scritto in collaborazione con Marina Pisklakova-Parker, che dirige “Anna”, il centro nazionale per la prevenzione della violenza domestica.
E invece le donne e i difensori dei diritti umani sono stati sconfitti. Per essere varata, la nuova legge, ha bisogno ora del via libera del Consiglio della Federazione (il Senato) e della firma del presidente Vladimir Putin. Entrambi questi atti vengono dati già per scontati.
La Corte Suprema aveva già depenalizzato le percosse che non infliggono danni fisici, ma aveva lasciato fuori le violenze contro i familiari, lasciando scontenti i parlamentari più conservatori, secondo i quali la nuova legge «renderà più forti le famiglie».
“Molte donne non hanno un’alternativa ai loro rapporti violenti, per questo tollerano in silenzio gli atti di violenza da parte dei loro partner in silenzio. Una delle cause della violenza domestica è il forte squilibrio di genere e la convinzione generalizzata che, a dispetto delle leggi di parità, le donne non abbiano pari diritti” ha dichiarato Marina Pisklakova-Parker e ha sottolineato che la Chiesa ortodossa russa ha annunciato di voler aprire delle case rifugio a livello nazionale. Le case rifugio gestite da “Anna” sono appena 30 in tutto il Paese.
Il dittatore Putin sembra dunque voler agire in piena armonia con il suo sodale Donad Trump, attaccando e riducendo i diritti delle donne, il cui rispetto è cartina al tornasole di quello dei diritti umani.
Il movimento globale delle donne che si è unito a dispetto delle frontiere e delle barriere linguistiche in queti ultimi mesi, che si è reso visibile in tutta l’America Latina, in Europa, a Roma il 26 novembre e ora nell’immensa marea di Washington, delle città grandi e piccole degli Usa, resisterà un giorno dopo l’altro, nelle scuole, nei posti di lavoro, nelle istituzioni e nelle strade contro il tentativo dei dittatori di ributtarci indietro, di calpestare i nostri diritti e di spegnere le nostre vite.
Noi ci riuniremo il 4 e il 5 febbraio a Bologna per ultimare il Piano nazionale femminista contro la violenza maschile, e l’8 marzo saremo di nuovo in piazza come le nostre compagne e sorelle in tutto il mondo.
D.i.Re Donne in rete contro la violenza